Al triplice fischio dell'ultima giornata si stacca la spina e la testa va in ferie. A prescindere dagli obiettivi (raggiunti o meno) i calciatori vanno in stand-by.
Se poi giochi nel Cagliari e dovessi far parte della rosa anche per la prossima stagione, il consiglio per il calciatore, è di chiudere gli occhi, non pensare a nulla, e godersi i meriti che le retrocesse non hanno espresso sul campo.
La salvezza appena ottenuta infatti, figlia di una squadra non costruita per salvarsi – e quindi ancora più difficile da raggiungere – è stato uno stress test per tutto il club, che in pochi forse hanno colto appieno.
Emozioni forti, rincorse sulle dirette concorrenti, punti che pesavano come macigni, minuti finali al cardiopalma, alla lunga pesano. E liberarsene, a due giornate dalla fine, è la luce in fondo al tunnel tanto invocata fin dai tempi di Di Francesco.
Pausa dunque. Pausa da orari, voli, tamponi, allenamenti, docce, rifiniture, massaggi, pasti frugali, interviste e tutto ciò che ruota attorno ad uno spogliatoio che (non sempre appare da fuori) ma è la cifra certosina di un lavoro che, se hai l'acqua alla gola, mentalmente scava dentro.
Il Cagliari, al cospetto delle retrocesse, ha dato nel finale di stagione il tutto per tutto e la pausa estiva, occasione per scendere da questo treno in corsa, è il momento per capire cosa realmente si è fatto, e goderne a piene mani.
Nuovi stimoli, nuove prospettive. Questo rappresenta il tempo di pausa per un calciatore. Giovane o senatore, debuttante o esperto, durante l'estate si pensa al passato per rafforzarsi nel futuro.
Il dispendio fisico e mentale dell'era Semplici è stato infatti tanto grande quanto necessario, e per ripartire scarichi da tensioni, staccare in vacanza è quello che serve per una prossima stagione meno carica di ansie. O almeno, questo è l'auspicio.