Non si ferma più. E meno male. Perché il fatto che, anche andando a ritmo forsennato (dodici punti su ventuno disponibili nel 2022, e sarebbero potuti – e forse dovuti - essere quattordici), i rossoblù restino terzultimi, la dice lunghissima sulle proporzioni cosmiche del disastro del girone d'andata. Erano stati i mesi del mantra, ripetuto sino all'ossessione, del Cagliari che disponeva di una rosa (o di nomi, e probabilmente non è la stessa cosa) che non c'entravano assolutamente nulla con la lotta per non retrocedere: un rendimento non corrispondente al livello dell'organico. Il modo in cui i rossoblù hanno cambiato l'inerzia del loro campionato è paradossale: rendimento e valore assoluto del roster si sono incontrati a metà strada, con il secondo che si è abbassato per consentire l'impennata del primo. In fin dei conti, il terzetto Godin-Caceres e un terzo a piacere spaccava i timpani, ma è con la sana manovalanza del poco altisonante trio Goldaniga-Lovato-Altare che il Cagliari sta dando un senso alla seconda metà di stagione. È dal viaggio oltre il Mediterraneo di Keita (che si prega possa reagire agli abissi) che i sardi hanno trovato una logica al proprio attacco.
Eppure, non credo esista una necessaria correlazione tra curriculum, aspettative e fatti. Del resto, uno dei peggiori Napoli dell'anno ha ripreso una partita persa, che più persa non si poteva, buttando dentro tutto l'appeal internazionale di Osimhen e Fabian Ruiz. Semplicemente, credo esistano giocatori giusti per contesti, momenti e situazioni diverse. Non esiste l'assemblaggio a colpo sicuro (anche perché altrimenti il PSG sarebbe già sulla Luna), così come non può esistere l'accozzaglia generalizzata del mestierante, fondata sulla ridondante retorica del calciatore affamato. Esiste un equilibrio, che si deve cercare e si deve raggiungere. Il Cagliari di inizio stagione sembrava il Grande Fratello VIP, con vecchie glorie in cerca di un'ultima vetrina, mischiate a ragazzi a caccia delle luci della ribalta. Non serviva una rivoluzione (che non c'è stata), ma ripristinare un equilibrio. Gaston Pereiro, deus ex machina di questo inizio sprint di 2022, è la prova lampante dell'evoluzione della squadra: lui è sempre stato lì, inutilizzato se non per buttarla in caciara quando la soluzione si faceva drammatica. Lo scombinatore è diventato all'improvviso il tetrafarmaco, il cuore pulsante di una squadra che aveva già sé stessa, ma senza qualcuno che gliela indicasse.
Ora l'errore sarebbe fermarsi a guardare il dito.