La minaccia è più forte dell'esecuzione. O almeno così sarebbe dovuta andare nell'idea contro-vento (o contro-senso, dipende dai gusti) di Tommaso Giulini, quando un mese fa, dopo l'ennesima figura non esattamente brillante del suo Cagliari, decideva non solo di non esonerare Di Francesco, ma di annunciare il contestuale rinnovo del contratto. Un po' come premiare il bulletto della scuola con un 10 in condotta o dare la stella Michelin allo chef che ha servito il pollo crudo. Dietro a questa mossa da decisionista purissimo, una difficoltà – legittima, per carità – a far fuori a cuor leggero un tecnico da tre milioni lordi a stagione. Peggio di così non poteva andare, del resto. E invece sì.
La vittoria sliding doors non è mai arrivata, l'aria è diventata prima pesante e poi tossica e di fatto il presidente, tra un Nainggolan che mandava Di Francesco a quel paese a favore di camera, un Simeone in lacrime all'uscita dal campo e volti tra il depresso e il funereo, si è trovato spalle al muro e senza scelta.
Ha sconfessato il proclama di fine gennaio, quel DiFra hasta el final con le gambe corte, e ha abbandonato l'ambizioso progetto tecnico sassuoleggiante. Al posto dell'ex Roma e Samp, di un personaggio (piaccia o non piaccia) influente e polarizzante come pochi altri allenatori italiani, un normalizzatore. Leonardo Semplici, antidivo prestato alla panchina ma primo firmatario del capolavoro Spal, con doppia salvezza e assemblaggio di quel gioiello di Manuel Lazzari. Nel repulisti generale, Giulini ha pensato bene di far tornare dietro le quinte il direttore per un giorno Carta, restituendo il palco a una credibile rockstar dei contratti, quel Capozucca rimpianto e riaccolto come il Batman dell'isola. Una grande retata punitivo-momentista che suona un po' come quando da bambini, quando si perdeva a qualsiasi gioco con gli amici, si annunciava un “da adesso mi impegno” perentorio e minaccioso. Perché Capozucca, per quanto ovvio, non potrà incidere istantaneamente, ma eventualmente potrà farlo solo a impresa o disastro compiuto.
È chiaro che il mantello, ad oggi 22 febbraio, potrà essere indossato solo da Semplici e dalla sua truppa che forse, in effetti, aveva bisogno di qualcosa di diverso. Da settimane Di Francesco era il volto del turbamento, appariva sovra-eccitato e sull'orlo di una crisi di nervi, e se Semplici non è ovviamente Guardiola potrà almeno gestire il gruppo con la serenità di chi ha davvero pochi margini per fare peggio del predecessore. Difficile stabilire se sia l'uomo giusto al momento giusto, anche perché la sensazione è che l'uomo giusto per placare questa bufera non sia ancora nato, e il momento giusto sia passato da un pezzo. È il peso delle scelte non fatte, ma è anche la leggerezza del passato incoercibile, che insegna a non preoccuparci di tutto ciò che non possiamo (o non possiamo più) modificare.
Il momento migliore per piantare un albero era vent'anni fa. Il secondo momento migliore è adesso.