Col fuoco dentro. Il Cagliari vince e va. Dall'altra parte un polemico centravanti si incazza, protesta, ci prova, si sbatte ma sbatte. Non si passa, non stavolta. Ed era sin troppo facile prevederlo.
Perché i sardi entrano in campo con gli occhi spiritati, l'anima in fiamme e un solo grande obiettivo: battere Borriello. Nessuna stretta di mano (ma non era solo una questione personale di motivazioni?), nessun inchino pre-duello, dalle nostre parti si perdona ma non si dimentica. Si va in campo per vincere, si va in campo per lanciare un messaggio. Al campionato sì, ma prima di tutto a mister quattordici maglie.
E così in gol ci va Barella, nato, vaccinato, cresciuto e maturato con gli stessi colori e nella stessa città . La Sardegna coccola i suoi figli ma sa amare altrettanto quelli adottivi. Ha amato Borriello, ha creduto in una favola, ha pensato di poter essere l'eccezione in una carriera fatta di tradimenti e addii. Ha testato sulla propria pelle il vilipendio di un fedifrago e ha accettato di levarsi l'anello dal dito con le lacrime al volto. Poi si è rialzata. Negli anni ha imparato a fare a meno di Muzzi, Suazo, Matri e compagnia. Figuriamoci se non si può fare a meno di Borriello.
Ed ecco il sorriso. Per il sesto punto in campionato, per il primo mattone depositato da Barella (la Russia era un sogno impossibile, oggi è un sogno e basta...), per il foie gras tirato fuori da Joao Pedro, che trova la giugulare della partita e ricorda così alla Spal che son bravi e belli ma il Cagliari è il Cagliari.
Nell'ambaradan dell'affettuoso saluto al centravanti napoletano e dei gol sardi ci si scorda di chi è stato chiamato a trasformare bronci in sorrisi: Leonardo Pavoletti, faccia da bravo ragazzo, phisique du role da granatiere, DNA da predatore. Il gol ancora non arriva ma arriverà (non aspettatevene 16), ma l'ex Genoa lavora e suda come i bomber nati più in cantiere che non in laboratorio. Una prestazione più che sufficiente, in attesa di trovare il primo sigillo rossoblù: i gol degli attaccanti sono come il ketchup, spremi il tubetto e non escono per poi venir fuori tutti in una volta.
Diverso il discorso per Farias, che trova la porta solo se ne ha voglia. Ieri proprio non era giornata, era nel classico pomeriggio in cui per lui un leziosismo vale più di un gol. Peccato proprio che sia un fenomeno ad intermittenza, perché questo ragazzo cinque giorni all'anno è uno dei calciatori più forti al mondo. Solo che Eva mangiò la mela, e quindi ci sono gli altri trecentosessanta, ma questa è un'altra storia.