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ESCLUSIVA: Brugnera, i gol scudetto “tolti” da Scopigno, Riva “piedone”, Messico ’70 sfiorato

Mario Brugnera si racconta in esclusiva i nostri microfoni del nostro quotidiano

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Mario, i tuoi anni a Firenze ti hanno permesso di crescere alla scuola di due assoluti fuoriclasse: De Sisti e Chiarugi.
Chiarugi faceva della rapidità il suo cavallo di battaglia, non a caso era soprannominato “La Freccia”. Era poi abilissimo nell’uno contro uno. E non disdegnava nemmeno mandare in gol i compagni.  De Sisti un autentico giocoliere, dalla fantasia pura. Elegante e concreto, tanto che in Nazionale talvolta costringeva Rivera alla panchina.

La tua carriera si lega a doppia mandata a quella di Ricky Albertosi.

Insieme perdemmo infatti lo Scudetto del ’69 con la Fiorentina, dopo avervi militato a lungo. Il rischio poteva essere quello di un eterno rimpianto. Poi a Cagliari abbiamo raccolto tutto con gli interessi.

Messico ’70: poteva essere anche il tuo Mondiale.

Ci sono andato vicinissimo infatti. Facevo parte dei quaranta “azzurrabili” che hanno fatto lo stage prima della partenza. Col senno di poi, posso dire di aver “sbagliato” epoca. Era un’era in cui fioccavano i giocatori talentuosi.  Come già detto, uno del calibro di Rivera non sempre vedeva il campo. E se giocava lui, a finire in panchina toccava sempre a un altro grande, come Mazzola.

I tuoi gol l’anno del Tricolore. Gli almanacchi dicono sei, in realtà sono otto.

(Ride). La “colpa” è di Scopigno. Erano due gol in mischia, da lui attribuiti a Riva, dicendo che aveva il piede più grande.
Scopigno appunto. Che allenatore è stato?
Molto permissivo. Non stava lì a fare il “cane da guardia”. Però scaltro e sveglio. Se sgarravi, finivi fuori squadra. Anche perché le voci correvano, e se combinavi qualcosa in giro per la città, era sicuro che veniva a saperlo.

Altro tuo grande Mister è stato Tiddia.

Non “altro”. Per me in persona è stato lui il più grande. Pur avendo lavorato con altri mostri sacri, lo stesso Valcareggi anche a Firenze, poi Beppe Chiappella, Fabbri e Scopigno, Tiddia rimane per me il più importante. Figura globale: padre premuroso, fratello maggiore, psicologo e motivatore. Il sabato veniva nelle nostre stanze e parlava con ciascuno a tu per tu. La domenica ti metteva nelle condizioni di rendere al meglio. E ci teneva a creare un clima di famiglia. Prova ne è il fatto che tutti i lunedì si andava a Sarroch a mangiare a casa sua.

Fai parte di quelli che hanno scelto la Sardegna a vita. Cosa ti ha spinto a non partire più?

Basta vedere nei giorni scorsi come eravamo tutti riuniti al compleanno di Nenè, esattamente come avveniva quaranta anni fa. Un clima cordiale impareggiabile. E poi la gente ancora ci mostra riconoscenza per quello Scudetto.

Il tuo ultimo anno in carriera a Carbonia.

Ricordo tutti i compagni. I fratelli Congiu, Pillosu, Erriu, Tronci.  Andavamo in ritiro, come quasi nemmeno facevamo col Cagliari. Anche quella rimane una pagina della carriera piacevole.

Chiudiamo col tuo contributo alla scuola calcio di Gigi Riva.

Fino a oggi ancora non abbiamo sfornato un giocatore che abbia sfondato nel grande calcio, voglio quindi augurare che ciò avvenga. Senza dimenticare che la prima missione è trasmettere i valori sportivi e la lealtà.

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