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Suazo: “Studio per diventare un grande allenatore. Il Cagliari in B? Un grande dolore”

“King” David parla della sua nuova vita in un’intervista alla stampa hondureña

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È considerato la leggenda del calcio hondureño: lui, David Suazo, riconosce che gli è stato difficile accettare il passaggio dal ruolo di giocatore a quello di tecnico, anche se ammette che alcuni successi ottenuti da allenatore dei Giovanissimi Nazionali lo hanno incoraggiato a proseguire. Oltre alla maglia rossoblù ha vestito quelle di Inter, Genoa, Catania e Benfica. L’ex attaccante ha parlato alla rivista Golazo della sua carriera, del suo attuale lavoro da tecnico e del suo futuro. Ecco le sue parole.

Come va la vita, David?

Abito sempre qui, a Cagliari, con la mia famiglia. Sono andato in vacanza ma sono già finite e ne ho approfittato per frequentare il corso di secondo livello per diventare allenatore (allenatore professionista di seconda categoria – uefa a) e sono molto contento. Mi manca solo l’ultimo corso e poi potrò allenare dappertutto. Tutto questo è molto importante per me.

Non mi sono mai pensato nelle vesti di tecnico, però il Cagliari mi ha appoggiato e mi ha dato l’incarico dei Giovanissimi, oltre ad avermi dato il ruolo di vice per la prima squadra l’anno scorso. Nella vita bisogna provarci: ora cerco solo di migliorarmi. La verità è che da quando ho avuto queste possibilità ho imparato tanto e mi sto divertendo, spero di avere successo.

Subito dopo il mio ritiro (a causa della lesione al ginocchio) mi è pesato tanto adattarmi: non è facile passare dal campo a studiare per diventare allenatore. E ancora soffro, perché è passato poco tempo. Si passano momenti difficili quando capisci che è arrivata l’ora di smettere di giocare. Adesso sto superando tutto questo, però ogni tanto i ricordi tornano a galla. Allenare e stare sul campo ti aiuta a dimenticare e ti aiuta anche a cambiare mentalità. Ci sono momenti in cui cedo delle partite e mi viene voglia di rimettermi gli scarpini e tornare a giocare, ma è impossibile.
Sono gli istinti normali di un giocatore: ho praticato per tanti anni questo sport, però molti fattori contano, come la mia lesione. Inoltre, gli anni passano ed è meglio accettare la realtà.

Pensi che se non avessi sofferto per la lesione staresti ancora giocando?

Credo di sì. Stavo molto attento a tutto, sia nella cura di tutti gli aspetti fisici che nell’allenamento. Se si rimane un professionista si può allungare la propria carriera. Nel mio caso, a trentatrè anni, avrei potuto giocare almeno uno o due anni in più: magari non a grandi livelli, ma sicuramente accettabili. Purtroppo è successo quello che tutti sanno.

Come va la nuova carriera da tecnico?

Ora alleno i Giovanissimi Nazionali del Cagliari. Ho ottenuto dei buoni risultati, come essere stati i migliori della scorsa stagione: è stata una grande soddisfazione. Mi sento bene perché è stata una grande esperienza, è una grande responsabilità. Ho dovuto imparare a dirigere dei gruppi; da poco abbiamo ricominciato a prepararci.

Ti sei posto degli obiettivi come tecnico? Qual è la tua più grande aspirazione?

Le mie aspettative sono importanti, molto grandi, ma fa tutto parte di un processo. Voglio prepararmi al meglio per quando si presenterà un’opportunità importante. La strada da fare è tanta, ma in poco tempo sono cresciuto molto. La formazione è fondamentale. Da questo e dai risultati dipende se uno farà strada o meno. Voglio allenare squadre importanti nel massimo campionato.

E aspiri ad allenare il Cagliari, per esempio?

(Ride) Penso, per esempio, che sono cresciuto nell’Olimpia e che mi piacerebbe allenarlo, come tutti i giocatori che crescono in una squadra e poi diventa allenatore. Ho già avuto la possibilità di fare il vice in prima squadra a Cagliari e ho provato un’emozione fortissima.

Se ti offrissero in qualunque momento la panchina della nazionale dell’Honduras (come è successo a Paulo César Wanchope in Costa Rica), accetteresti?

In questo momento non posso rispondere perché la panchina è occupata dal professor Jorge Luis Pinto con Amado Guevara. Però è ovvio che la massima aspirazione di un allenatore sia quella di allenare la nazionale del proprio paese. In futuro sarebbe un sogno allenare l’Honduras.

Nella tua carriera di calciatore hai sempre detto che Chelato è stato il tecnico che ha avuto l’influenza maggiore su di te. E in questa nuova carriera di tecnico, a chi ti ispiri?

Sono diversi. A Cagliari ho avuto diciassette allenatori diversi e, nelle altre squadre ho avuto buoni tecnici, per esempio Roberto Mancini, Mourinho e Rafa Benítez, che sono allenatori di importanza mondiale. Queste esperienze mi hanno portato a imparare qualcosa da tutti, aiutano a crescere come professionista.

Quale credi che sia la ragione per cui in Italia non si prendono giocatori hondureñi a parte la partecipazione al campionato di Rambo de León, Edgard Alvarez e Samuel Caballero?

Sicuramente c’è stato un calo del livello calcistico e la qualità è diversa. Bisogna continuare a lavorare. Non riusciamo a trasferire il buon lavoro delle nazionali minori in quella maggiore. Nel caso della mia generazione, invece, si riuscì a portare avanti il lavoro, iniziato con l’apparizione al mondiale Under20 del 1999 e terminato con la partecipazione al Mondiale del 2010. In questo momento c’è difficoltà a creare una formazione altrettanto competitiva.

Come giocheranno le tue squadre? Preferirai il catenaccio, l’equilibrio o una squadra tutta votata all’attacco?

Le mie squadre avranno un approccio molto offensivo, giocheranno per vincere. Però la cosa più importante è essere offensivi senza abbandonare l’equilibrio.  Sto imparando a capire come si fa: si può imparare a fare tutto.

Quale giocatore hondureño del passato e del presente ti piacerebbe veder giocare in Italia?

Del passato sicuramente mi sarebbe piaciuto veder giocare Tyson Núñez: con la sua velocità avrebbe fatto sicuramente la differenza e avrebbe capovolto molte situazioni. Per quanto riguarda il presente credo ci siano molti ragazzi che potrebbero avere delle possibilità. Albert Elis ha buone potenzialità, ma anche Bryan Acosta e Choco Lozano, che vedremo come risponderà all’opportunità che gli stanno dando in Spagna. Loro possono avere un futuro in Europa.

Senza farti influenzare all’emozione, credi che quell’Oscar del calcio (edizione 2006, categoria miglior straniero, NdR) vinto a pari merito con Kakà sia stato meritato più da te o pensi sia stato giusto concederlo ex aequo?

Quell’anno è stato fantastico per entrambi. É ovvio che mi sarebbe piaciuto vincerlo da solo, però mi fa piacere aver vinto questo premio in un campionato importante. Non mi cambia niente averlo condiviso con qualcun altro: ero felice quando l’ho vinto e ricordare quel momento mi rende ancora felice.
Abbiamo visto che l’Inter, quando fa le partite amichevoli con i giocatori importanti della sua storia, ti chiama sempre.
Sì, e questo è un fatto molto positivo, molto bello. Abbiamo mantenuto i contatti e di quando in quando riesco a giocare (ride). Questo significa che, se mi cercano, vuol dire che ho lasciato un buon ricordo quando giocavo lì.

Ti sei mai pentito di aver scelto l’Inter invece del Milan?

Penserò sempre di aver fatto la scelta giusta andando all’Inter. In quel momento pensavo che fosse la decisione migliore e anche ora, dopo tanti anni, penso lo stesso.

Puoi rivelarci l’episodio in cui hai discusso con il portiere messicano Oswaldo Sánchez allo stadio Olimpico?

È stata una normale discussione in campo. Gli avevamo già fatto due gol e ci stava chiedendo un po’ di tregua, allora gli ho risposto di prepararsi a prenderne altri quattro. Stava piangendo (ride).

Dove credi di essere stato valorizzato di più? In Italia o in Honduras?

Dovunque sono stato mi sono trovato bene. Adoro gli hondureñi perché mi hanno sempre seguito e appoggiato durante tutta la carriera. Anche adesso, quando torno a casa, mi dimostrano tutto il loro affetto, forse perché sono stato un buon ambasciatore dell’Honduras nei miei anni di attività.

Ti consideri il più grande giocatore hondureño di sempre?

Questo non spetta a me dirlo perché devo rispettare la carriera di altri giocatori come Tyson Núñez, che ci ha rappresentati bene in Uruguay, Carlos Pavón in México, Amado Guevara nella MLS (campionato del Nord America) e anche Gilberto Yearwood in Spagna. Ho contribuito a far conoscere il nostro calcio e il nostro paese: ma tutti hanno fatto la propria parte.

Quale pensi sia stato il momento migliore della tua carriera?

Dal 2004 al 2008 ho vissuto il periodo d’oro: è in quel periodo che ho vinto l’Oscar del calcio.

Sei ancora in rapporti di amicizia con i tuoi ex colleghi?

Sì, in Honduras ho ancora molti amici, come Wilson, Edgard, Thomas, Tyson, Osman e Muma, per citarne alcuni. A livello internazionale sento ancora Dida, “Mono” Pereira, Maicon e altri.

Come ti sei sentito quando il Cagliari è retrocesso?

È stata una situazione molto complicata, però veder retrocedere la squadra nella quale sei cresciuto e per cui hai difeso la maglia per tanti anni è stata una situazione molto triste. È stato un grande dolore.

I tuoi due figli giocano a calcio?

Sì, sì, si iniziano già a divertire, però sono ancora piccoli, hanno nove e sette anni. Lasciamo che crescano, c’è tempo. Può anche darsi che si innamorino e decidano di smettere. Il sogno di tutti i papà è quello di vedere i figli giocare e, se vorranno farlo diventare il loro lavoro da grandi, io li appoggerò. Voglio che diventino più bravi di me ma, nel caso una volta fidanzati dovessero decidere di smettere, non potrò farci nulla.
 

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