Da Giovanni Trapattoni, dimessosi nel lontano 14 febbraio 1996, a Zdenek Zeman. Gli allenatori di grido evidentemente non fanno per noi. E stavolta Cellino non c’entra. Fu bellissima l’estate 2014, quando a Cagliari sognavamo tutti ad occhi aperti. Cellino era andato via dopo 22 anni di monarchia assoluta che ci aveva regalato 17 campionati di serie A, era arrivato un giovane ed elegante presidente milanese di studi bocconiani, che con sprezzo del pericolo chiamò come condottiero del Cagliari 2.0 il tecnico più controverso del mondo pallonaro.
Un signore che o lo ami ciecamente o lo detesti, e che ha sempre diviso opinione pubblica, stampa, tifosi e spogliatoi. Il popolo rossoblu aveva talmente bisogno di respirare aria nuova dopo gli ultimi anni tormentati e di sognare una squadra finalmente fresca e divertente che, quasi all’unanimità, accolse il profeta boemo come un trionfatore ancor prima di vederlo all’opera. All’arena grandi eventi eravamo in 10 mila quel 4 agosto 2014. Sembra passato un secolo. Tutto si è sbriciolato.
Zeman non è stato aiutato, forse, ma sicuramente ha fatto poco per farsi aiutare. Da trent’anni persegue un dogmatismo, un’intransigenza tattica ed una certa rigidità nel modo di gestire i gruppi che gli vengono affidati che, evidentemente, nel 2015 non funzionano più. Tantomeno a Cagliari, piazza abituata da sempre a lottare per la salvezza, quindi bisognosa di concretezza, pragmatismo e di allenatori tatticamente e psicologicamente più flessibili.
Ma la società è la prima responsabile, prima di tutto perché Zeman non si è auto invitato ma è stato chiamato; secondo, perché hanno costruito la rosa in modo come minimo stravagante. Non si affida fino a gennaio la porta di una squadra che si deve salvare a due ragazzini alle prime armi. Non si lascia partire il difensore centrale più forte sostituendolo con giocatori di categoria inferiore. Non ci si affida alla Provvidenza per fare i gol, trascurando di prendere un attaccante di peso. Poi le trovate del mercato invernale, con acquisti di giocatori stranieri provenienti da campionati non competitivi ed oltretutto fuori condizione.
E stendiamo un velo pietoso sull’affaire Zola.
Zeman e chi lo ha ottusamente sostenuto (ed in questo caso parliamo soprattutto del battage mediatico che lo ha accompagnato) hanno fallito clamorosamente, i numeri disastrosi non ammettono discussione. Chi scrive non ha mai nascosto la propria distanza abissale dalla visione calcistica di Zeman e ne ha auspicato le dimissioni proprio all’indomani della figuraccia contro il Napoli.
Le dimissioni sono arrivate, ma non c’è da gioire. Tanto di cappello al boemo, il cui spessore umano mai abbiamo messo in discussione ed a cui rivolgiamo un sincero in bocca al lupo, ma a noi sta a cuore il destino del Cagliari.
Ora squadra e società sono rimaste nude e senza lo scudo protettivo del parafulmine Zeman. Ci si affida a Festa, peraltro non tanto ben visto da parte della tifoseria fino a qualche anno fa. Altra scelta discutibile, ma a questo punto obbligata. Una cosa è certa: il finale di questo maledetto campionato sarà un calvario.