Un'onda anomala si sta abbattendo sul nostro Paese: è partita dalla Cina, ha attraversato l'Asia e adesso minaccia l'Europa, colpendo in particolar modo l'Italia, ma continua ad espandersi fin oltre l'Atlantico. Non è la peste, ma non è da prendere neanche sottogamba. Il (nuovo) Coronavirus è stato dichiarato ufficialmente una pandemia, e bisogna dire che ce ne siamo accorti.
In un clima di incertezza generale, le nostre abitudini stanno cambiando, i ritmi delle giornate si fanno più lenti, l'aria aperta ci manca sempre di più e il pallone rotola sempre meno. Il calcio si sta fermando. Si è iniziato con il disputare le partite a singhiozzo, tra rinvii, recuperi e quant'altro, poi lo stop forzato, con la Lega Serie A spaccata in due a litigare, ma alla fine ci ha pensato il Governo. Adesso, c'è un nuovo problema: Daniele Rugani, difensore della Juventus, è risultato positivo al tampone per il Covid-19, e a questo punto, il campionato finirà con tutta probabilità. L'aveva detto il Presidente della FIGC Gravina: al primo caso sospendere tutto.
Quando servirebbe distrarsi da un momento del genere, ecco che viene meno anche il football, una delle evasioni preferite dagli italiani. Il primo segnale forte è stato chiudere gli stadi e giocare le gare a porte chiuse, in un'atmosfera surreale: vedere un San Siro spoglio di coreografie è un colpo duro per tutti. Dopo i tifosi, fine dei giochi anche per i calciatori. Niente più campo, né la domenica né, per molti, in allenamento. E ora chissà per quanto si rimarrà fermi. Tra un po' toccherà anche agli altri: in Spagna, Francia e Germania si sta adottando già da qualche giorno il modello Italia nell'ambito dello sport e non solo. Anche le Coppe dunque sono a rischio, come l'Europeo.
Qui da noi, vista la possibile non conclusione del campionato, si va verso l'ipotesi di non assegnare lo scudetto (come nel 1915 in tempo di guerra), mandare in Europa le attuali sette classificate e portare nella prossima Serie A 22 squadre, con le prime due in Serie B che si aggiungono. L'idea play-off per lo scudetto e i play-out per la retrocessione stuzzicano, ma bisognerà attendere prima di avere un quadro chiaro della situazione.
Una delle squadre che può avere un rimpianto in più è sicuramente il Cagliari: doveva essere l'anno del Centenario e quello dei 50 anni dallo storico tricolore, dovevano esserci feste e abbracci, ma quasi certamente tutto questo non avverrà nei tempi immaginati, perché se c'è qualcosa da evitare ora sono proprio i contatti. Forse avrebbe fatto ancora più male se i rossoblu fossero restati quelli di ottobre e novembre, invece che trasformarsi nella versione downgrade degli ultimi tre mesi, e allora sì che la delusione sarebbe stata veramente cocente.
Non scherziamo però, alla fine ci bastava andare allo stadio. Un giorno ci torneremo. E torneremo anche a riempire le strade, i bar, i parchi e non ci sarà più tutta questa psicosi, che da un lato aiuta a stare a casa ma dall'altro ci fa vivere nel dubbio. Una volta che sarà tutto finito, ci accorgeremo di quanto è preziosa la nostra quotidianità e quanto bello sarà vedere una partita di calcio.