Beniamino “sui generis”. Impossibile dare una definizione diversa per Darío Silva. Nell'estate del 1995 il centravanti era stabilmente nel giro della Celeste, con la quale aveva già realizzato sei reti nelle prime quattordici apparizioni.
Mentre Francescoli regalava le ultime perle alla Nazionale, Silva si iniziava. A diciannove anni era già titolare nel Penãrol in pianta stabile e a ventidue si affacciava in Europa con le credenziali di tre titoli di capocannoniere come biglietto da visita. Originario di Trenta Y Tres, il suo soprannome originario era “Il Poeta dell'Olivar”, come lo ribattezzarono i cronisti sudamericani, dal nome del fiume che bagna la sua città. Calcisticamente crebbe nelle giovanili del Yerbalense ma a diciotto anni venne prelevato dal Defensor Sporting - club col settore giovanile più fecondo in Uruguay - dove gli fu sufficiente un solo campionato per essere ingaggiato dal Penãrol.
Divenne rossoblù nel luglio '95. Arrivò nel ritiro di Vipiteno pochi giorni dopo i compagni e rilasciò le prime dichiarazioni in un abbastanza comprensibile “itagnolo”: “sto bene, è tutto a posto. Nell'amichevole della mia Nazionale contro la Nuova Zelanda si è riacutizzata la contrattura che avevo rimediato in campionato, ma ora credo di aver superato l'infortunio”. I suoi primi gol in rossoblù giunsero nell'amichevole contro la Vipitenese: entrambi bordate col destro a fil di palo, la prima volta servito da Allegri, la seconda da Pusceddu. Contemporaneamente, la contrattura ormai alle spalle gli avrebbe lasciato un eterno rimpianto: aver dovuto abbandonare la Nazionale in piena Coppa America poi vinta dai suoi compagni. La finale si giocò al Centenario di Montevideo contro il Brasile Campione del Mondo in carica. Francescoli, Herrera e Fonseca erano titolari, Daniel uscì all'intervallo per infortunio mentre Enzo e Pepe trasformarono il primo e il terzo calcio di rigore nella lotteria finale.
Per Silva arrivò presto anche il primo gol in partite ufficiali, in Coppa Italia: meraviglioso pallonetto che fissò il definitivo 4-3 contro la Lucchese. Rete - pressoché identica - che avrebbe replicato in campionato a Marassi contro la Sampdoria. Ma i gol saranno soltanto sette nei primi due campionati di Serie A. Poi arrivò Ventura e Darío - diventato nel frattempo “Sa Pibinca” per opera del comico Massimiliano Medda - contribuì in modo determinante a riportare subito il Cagliari in Serie A con tredici gol, tutti su azione. Due in rovesciata, entrambi al Castel di Sangro, uno in casa l'altro fuori. Nella partita di ritorno, reduce da un sabato “indisciplinato”, Ventura fu combattuto se schierarlo o meno. Gli diede poi fiducia, ripagata in campo: punizione dai quaranta metri di Cavezzi indirizzata al vertice destro dell'area, Darío saltando stoppò col petto spalle alla porta e invece di ricadere a terra si produsse in una rovesciata acrobatica verso il palo lontano da fare invidia al miglior Vialli.
Silva fu a tutti gli effetti indiscusso idolo della tifoseria e dalle indimenticabili qualità umane. Un uomo simpatico e con una grande forza di volontà, che gli ha permesso di non mollare anche quando, a causa di un tragico incidente nel 2006, gli è stata amputata una gamba. Ma i supporters rossoblù, che allo stadio, con lui in campo, potevano aspettarsi di tutto, continuano a ricordare le sue indelebili piroette, le incespicate sul pallone, i gol sbagliati a porta vuota. E quel siparietto da lui stesso ideato di un imminente trasferimento al Real Madrid che per una sera fece impazzire frotte di giornalisti che abboccarono in pieno. Ma lui era “Sa Pibinca”, e questo gli era consentito!