Nella realtà agropastorale sarda di qualche tempo addietro la medicina “convenzionale”, quella fatta di farmaci e dottori, non era molto diffusa. Anzi, sarebbe più corretto dire che era veramente riservata a pochissime persone a causa dei costi spesso elevati e insostenibili per le comunità dedite all’agricoltura e alla pastorizia dell’epoca.
Ma le ragioni economiche non erano tuttavia le uniche cause della scarsa diffusione della medicina che tutti noi oggi utilizziamo quotidianamente; a queste infatti si affiancavano motivazioni di natura geografica, a causa di distanza dai centri in cui era presente un medico, e strade di collegamento fra i vari centri piuttosto lunghe e poco praticabili, ma anche culturali.
Tuttavia, tutte queste ragioni vennero a cadere soprattutto con la fine della Seconda Guerra Mondiale quando la società agropastorale è stata soppiantata da quella dei servizi, dell’industria, dei grandi agglomerati cittadini, dove anche la salute viene inquadrata in regole e schemi precisi.
Non dobbiamo comunque cadere nell’errore di pensare che la medicina popolare sia stata soppiantata e cancellata da quella moderna, anzi ha continuato ad operare quotidianamente per il bene e la salute della gente.
La medicina popolare infatti, con il suo insieme di credenze e pratiche, empiriche e magiche, basato su tradizioni e formazione non professionale, che comprende conoscenze, tecniche e pratiche che affondano le loro radici nel passato.
Ed infatti tale patrimonio è custodito nell’ambito delle famiglie stesse, dalle donne della famiglia, secondo tradizioni tramandate di madre in figlia, e spesso patrimonio delle donne più anziane di casa, donne che con un semplice sguardo e poche erbe potevano curare grandi mali.
Una medicina basata su elementi semplici della natura combinati con i gesti sapienti delle donne, ed un pizzico di mistero dato da “su sentidu”, ossia l’ascolto non delle parole o dei sintomi ma un ascolto profondo e generale dell’insieme di anima e corpo, dello spirito e delle voci universali le quali guidavano la mente e la mano della guaritrice durante i suoi riti.
Le donne infatti, fin dalla raccolta e preparazione delle erbe, invocavano il supporto di tutto il sapere della loro cultura attraverso la recitazione de “is brebus”, le antiche preghiere della cultura popolare conosciute solo dalle guaritrici, sussurrati a bassa voce per non essere uditi da orecchie curiose e non adatte al lavoro richiesto.
A queste donne veniva richiesto supporto in caso di “ogu pigau” e contro il malocchio in generale, ma anche per curare le malattie più comuni grazie alla loro profonda conoscenza delle erbe medicamentose del territorio.
Attualmente si ritiene che nell’isola siano ancora attive circa un migliaio di guaritrici note soprattutto nell’ambito delle proprie comunità, all’interno delle quali operano e che le riconosce con rispetto e riguardo.