Quando si spengono i falò in onore di Sant’Antonio e San Sebastiano, in seguito all’Imposizione delle Ceneri, in Sardegna è tempo di Carnevale. Città per città, paese per paese, borgo per borgo, ciascuno si anima per festeggiare in maniera propria e particolare i riti apotropaici della eterna lotta dell’uomo contro la natura, nello specifico contro il “generale Inverno”.
Riti tradizionali legati ad usanze agropastorali, corse a cavallo e giostre, con le sue numerose varianti locali, con le sue maschere mostruose o di animali, con i suoi carri allegorici e colorati: tutto questo è su Karrassecare sardu.
Come spesso capita in Sardegna, anche il Carnevale assume in sé un misto di tradizioni religiose e pagane, il dualismo del sacro e profano che si compenetra da secoli, paese per paese. Il ritmo incessante e battente dei tamburi, dei canti inebrianti ripetuti a cantilena, il cibo ed il vino corroboranti per fronteggiare il freddo pungente del periodo.
Per ripercorrere queste tradizioni agropastorali, basti pensare ad esempio alle maschere mostruose o di animali dei celebri festeggiamenti di Mamoiada, Ottana, Orotelli o Samugheo: Mamuthones e Issohadores, Boes e Merdules, Thurpos e Urtzu che peraltro sono tra le maschere più conosciute e ammirate del panorama sardo.
I Mamuthones sono probabilmente la rappresentazione più tipica di questa fusione: giovani ricoperti di pelli di pecora, con il viso coperto da maschere di legno i quali danzano una danza ancestrale al ritmo dei campanacci caricati sulle spalle. Ma non basta. A completare la rappresentazione ci pensano gli Issohadores che, nei loro corpetti rossi, con una fune catturano i mamuthones e pure il pubblico.
Analogamente, i Boes dalle lunghe corna con i Merdules, o i Thurpos, incappucciati, nei loro abiti di orbace, e con il viso annerito dalla fuliggine dei falò dei festeggiamenti appunto per Sant’Antonio e San Sebastiano.
A questi si affiancano i numerosi festeggiamenti allegorici di Tempio, San Gavino Monreale, Cagliari e Iglesias che, con i loro carri colorati e chiassosi, i gruppi musicali in maschera, animano le vie cittadine con allegro sarcasmo e canzoni a ritmo di tamburi.
Ilarità e scanzonata ironia sono le chiavi di questi festeggiamenti carnevaleschi, con sberleffi e risate, e la celebre ratantira, una famosissima marcetta ripetuta senza sosta al ritmo di tamburi che recita: "Cambara, cambara, cambara e maccioni, pisciurrè, sparedda e mumungioni", che significa "gamberi, gamberi, gamberi e ghiozzi, donzelle, sparlotte e mormore". In alternativa, “Donamì una cicca, donamì-ndi un'atra, custa no mi bastat, ren-zen-zen ", ossia "Dammi una chewing-gum, dammene un'altra, questa non mi basta, ren-zen-zen ".
Il carnevale sardo offre poi anche giostre e corse a cavallo, per completare il panorama festante del periodo; spicca fra le tante certamente la Sartiglia di Oristano dove, la domenica di Carnevale ed il martedì grasso, i sartiglianti, celati dietro le loro misteriose maschere bianche, si lanciano al galoppo per cercare di infilzare la stella, segno di buon auspicio. Affascinanti poi anche le Pariglie del Meilogu con Bonorva a capeggiare, o sa Carrela ‘e Nanti di Santu Lussurgiu.