Un pasto senza vino è come un giorno senza sole, scriveva il noto politico e gastronomo francese Anthelme Brillat-Savarin ed effettivamente non si può negare che un buon cibo o un felice momento conviviale non risulti arricchito da un buon vino.
La Sardegna vanta una tradizione vitivinicola assolutamente millenaria, con radici che affondano fino al periodo nuragico, sebbene le notizie e le prove siano poche e frammentarie.
Gli studiosi tuttavia sembrano sempre più concordi nell’affermare che i sardi di epoca nuragica conoscessero la coltivazione della vite e producessero del vino, probabilmente il Cannonau che risulta, proprio a detta di numerosi ricercatori ed esperti, come uno dei vini più antichi del Mediterraneo.
Con i fenici ed i cartaginesi la Sardegna porta avanti la coltivazione del prezioso nettare ma è in epoca romana che si assiste ad un nuovo, piccolo balzo in avanti nella cultura enologica con la produzione di un altro grandissimo e tipico prodotto isolano: la vernaccia.
Sembra che il nome derivi da vite vernacula, cioè vino di casa, come ci racconta lo storico romano Columella, il quale, dopo la carriera di Tribuno nell’esercito, si è dedicato all’attività di campagna divenendo uno dei massimi esperti nel campo dell’agricoltura grazie soprattutto al suo approccio scientifico ma carico e infarcito di suggerimenti e consigli pratici in materia. Le sue opere, insieme a quelle di Catone il Vecchio e Varrone, rappresentano la più grande, ampia e profonda conoscenza dell’agricoltura romana nel senso più ampio del termine.
Fin dall’epoca romana, il nome di questo vino è legato alla città di Tharros, antico centro abitato punico-romano appunto ed i cui resti sono oggi di grande bellezza e interesse storico, ma più in generale il nome della vernaccia è ampiamente legato alla zona dell’oristanese.
Dopo il periodo vandalico, la coltivazione della vite prese nuovamente vigore grazie anche all’opera dei bizantini, in particolar modo grazie ai monaci basiliani che introdussero nell’isola nuovi metodi di coltivazione e nuovi vitigni nei pressi dei monasteri.
Ancor più poi in epoca medievale, la coltivazione delle viti conobbe grande prosperità, radicandosi profondamente in tutta l’isola. Basti pensare che nel Giudicato d’Arborea, sotto la grande Eleonora, la Carta de Logu prevedeva il divieto di tenere inoperoso o mal gestito qualsiasi vigneto.
In epoca moderna la viticoltura sarda continuava a prosperare e produrre ottimi vini restando tuttavia quasi confinata all’interno dei confini isolani, se non con rari prodotti ben riconoscibili e identitari.
Un grande impulso all’apertura verso il resto del mondo si ha, in Sardegna, nel dopoguerra quando anche grazie a importanti imprenditori di ampia mentalità, i prodotti sardi cominciano a varcare i confini isolani per conquistare ampie fasce di consumatori amanti dei sapori di Sardegna.
I vitigni sardi oggi sono noti per i loro prodotti d’eccellenza a partire dai già citati Cannonau, in prevalenza proveniente dal nuorese, la Vernaccia dell’Oristanese, il Bovale Sardo, il Cagnulari del Sassarese, o ancora i più trasversali Monica, Vermentino o Nuragus, ovunque presenti nell’isola.
Una grande ricchezza di gusto e di storia che si racchiude in un calice, al sole di Sardegna.