Lungo la SS. 131, quasi al confine tra il medio campidano e l’oristanese, troviamo Mogoro, vivace centro collinare dell’alta Marmilla, ai piedi meridionali del complesso del Monte Arci e, proprio per questa sua dislocazione geografica, antico centro abitato fin dall’epoca nuragica grazie alla lavorazione dell’Ossidiana.
Mogoro sorge su altipiano conosciuto come Sa Struvina, un tavolato basaltico che domina la piana del Campidano e la valle del rio Mogoro, e attualmente è noto per la produzione tessile e vinicola.
Ma Mogoro offre ancora di più, precisamente un tesoro a cielo aperto, visibile fin dalla SS. Carlo Felice e oggetto di scavi dalla metà del secolo scorso addirittura ad opera del padre dell’archeologia sarda, Giovanni Lilliu: il nuraghe Cuccurada.
Secondo gli studiosi, il sito doveva rivestire, fin dall’antichità , un ruolo decisamente di prim’ordine poiché ricco di preziose risorse naturali ed economiche, dalla già citata ossidiana, al legname del vicino Monte Arci all’acqua del rio Mogoro stesso, senza dimenticare un’invidiabile posizione dominante.
Gli scavi del sito, successivi a quelli del Lilliu, hanno evidenziato testimonianze di un uso costante e millenario del sito, che comprende un primo insediamento risalente a circa 2700 a. C.; questo è reso evidente dalla diversità e complessità di costruzione delle diverse componenti del sito stesso, ossia il nuraghe, dalla forma complessa e inusuale, alla muraglia invece più moderna e regolare, al villaggio di capanne che sorge sui resti di un più antico insediamento probabilmente risalente al III millennio A.C.
Il nuraghe svolgeva la funzione di fortezza che si incentrava su un preesistente proto-nuraghe successivamente inglobato nel bastione dalle quattro torri perimetrali, collegate da mura lineari.
All’interno è racchiuso un cortile che ha svelato, nel corso degli scavi, una particolarità davvero unica: al suo interno sono stati ritrovati resti di capanne erette all’interno delle mura stesse, ma contemporanee alle capanne esterne alla fortezza stessa.
L’intero insediamento era poi protetto da una muraglia megalitica davvero possente per l’epoca, risalente alla fine del III millennio A.C. e del quale oggi sono visibili circa otto metri dalla notevole altezza di circa tre metri.
Il sito è stato utilizzato anche nelle epoche successive, probabilmente come luogo di culto in epoche cristiane ed anche giudaiche, a giudicare dalle lucerne romane o con simboli giudaici, ma anche dai resti di animali usati per riti sacrificali.
Parte dei reperti ritrovati (scodelle, ceramiche, tegami, strumenti per la caccia e per la filatura, etc) sono custodite in parte nel Museo archeologico di Cagliari e in parte nel Convento del Carmine di Mogoro, adattato a museo proprio allo scopo di ospitare tali reperti.