Pensare al passato sardo come un capitolo storico povero di avvenimenti e momenti importanti sarebbe non solo sbagliato ma anche estremamente sciocco. E’ vero tuttavia che la storia dell’isola è davvero poco conosciuta ed, ancor meno, studiata e valorizzata.
Ma c’è una data della storia isolana che rimane ben impressa nella mente del popolo sardo: sa die de sa Sardigna.
28 Aprile 1794. Questa è la nostra data, il giorno in cui i sardi si ribellarono alla prepotenza ed alle continue angherie e vessazioni dei piemontesi, un’insurrezione che percorse l’isola da Cagliari fino al Capo di Sopra, spandendosi rapidamente in tutti i sardi.
Andiamo per gradi però, e cerchiamo di ricostruire gli avvenimenti che portarono alla cacciata del Vicerè Balbiano e tutta la corte piemontese.
La Sardegna ha una lunga storia di dominazioni, dai fenici ai cartaginesi, dai romani ai pisani, dagli spagnoli ai piemontesi che data la posizione strategica dell’isola, al centro del Mediterraneo, ha sempre fatto gola ai popoli di mercanti e navigatori.
Tutte le dominazioni hanno lasciato delle influenze più o meno marcate nel territorio e nella cultura del popolo sardo, in modo più evidente lungo le coste e meno nei territori dell’entroterra. Si potrebbe dire tuttavia, più una dominazione del territorio che una piena dominazione del popolo, lasciando solo alle genti delle coste una propensione o, se non accettazione, ma almeno tolleranza de “sos stranzos”.
Venendo ai nostri piemontesi, dobbiamo partire quantomeno dal 1793 quando una flotta francese tentò di impadronirsi dell’isola. I sardi si opposero ed ebbero la meglio (complice un fortissimo maestrale e, per chi vuole, l’intervento di Sant’Efisio) e, respinti i francesi, cominciarono a sviluppare un sentimento di rivalsa nei confronti della corte e del sovrano. In realtà, l’avversione aspra nei confronti dei piemontesi ha origini più remote, almeno mezzo secolo, dovuta all’arroganza ed al disprezzo costante e crescente con cui venivano trattati i sardi.
Venivano chiamati pezzenti, lordi e vigliacchi ma soprattutto “molenti”, mutuando l’intercalare sardo. Inoltre, nonostante la resistenza all’invasione francese, i piemontesi non si dimostrarono minimamente riconoscenti ma anzi continuarono ad avocare a sé tutti gli incarichi più prestigiosi e di rilievo, lasciando ai locali soltanto le briciole.
Non era solo questione di incarichi e ruoli, i sardi erano stanchi di dominazioni anacronistiche e castranti, contrarie al progresso ed allo sviluppo del popolo, e non tolleravano più l’alterigia e l’arroganza dei dominatori.
La goccia che fece traboccare il vaso fu l’arresto degli avvocati cagliaritani Vincenzo Cabras ed Efisio Pintor, esponenti del partito patriottico sardo. A questo punto, una folla inferocita si riversò nelle strade ed invase i palazzi della corte piemontese e del viceré Balbiano e, quasi di peso, li costrinse ad imbarcarsi nelle loro navi ferme nel porto cagliaritano. “A fora!”, via! “nara cixiri”, la domanda fatale a chiunque fosse straniero.
Come un fuoco che rapidamente si spande, in tutta l’isola il popolo sardo finalmente si compattò e la rivoluzione dilagò. Un uomo su tutti si prese l’incarico di provare a traghettare il popolo sardo dalla dominazione alla Repubblica, Giovanni Maria Angioy, l’alternos che divenne leader di un popolo. “Custa es s’ora d’estirpare sos abusos …”