La lavorazione del pane, l’arte bianca, riveste per tutti i popoli un’importanza straordinaria. Anche in Sardegna la preparazione di questo prezioso alimento, in tutte le sue fasi di lavorazione, ha da sempre avuto un notevole significato, quasi sacro.
Un significato profondo oggi in apparenza dimenticato ma che, in più comunità del nostro territorio, sta gradualmente riacquistando terreno rispetto alle “modernità” del vivere odierno.
Sarebbe un errore associare a questo alimento comune il significato di banale, povero o di scarso valore poiché va certamente considerato il suo valore alimentare ma anche il suo significato culturale, profondamente radicato nel tessuto sociale sardo.
La preparazione del pane è un’arte che si tramanda di generazione, nelle famiglie, perpetuato quasi esclusivamente grazie alle donne alle quali spettava la totalità delle attività le quali, nonostante fosse un lavoro gravoso e pesante, non erano sole.
La preparazione del pane era infatti una faccenda familiare poiché coinvolgeva le donne della casa, di qualunque età e ruolo, ma anche sociale in quanto fattore di aggregazione sociale, di vicinato.
La vita di ogni comunità, di ogni famiglia, di ogni tradizione ed evento era legata dal pane: esistevano pani speciali per le festività religiose, per le feste familiari, ma anche per ogni occasione sociale.
Anche per tali ragioni, le varietà di pane sono davvero numerose, a partire proprio dalla scelta del cerale e della farina di base dell’impasto: grano oppure orzo.
Il pane d’orzo è documentato fin da epoche remote ma ha sempre avuto minore diffusione rispetto al grano, anche per le porzioni di terreno dedicate alla sua coltivazione. Era considerato qualitativamente inferiore rispetto al pane di grano, ed era generalmente dedicato ai servi e ai poveri.
Il pane di grano invece era addirittura sinonimo di benessere e prosperità quando veniva prodotto con la farina migliore. Anche per il pane di grano infatti, esisteva una scala di valore: dagli scarti della lavorazione si ottenevano prodotti per la pulizia; dalla crusca integrale o scarti non panificabili, si producevano delle pagnotte per i cani; a seguire poi le farine più raffinate e destinate ad usi differenti; al pane poi, in base alle occasioni e necessità, venivano aggiunti altri alimenti come carne, verdure, uovo.
Tra le tipologie di pane più diffuse e note troviamo il civraxiu, tipico del campidano di Cagliari, dalla tipica crosta scura e croccante e dalla mollica soffice e alveolata; su moddizzosu, crosta dorata e consistente e mollica morbida e compatta; su coccoi, a base di semola, decorato con le punte o a forma di rosa e persino per gli sposi; su pani carasau, una sfoglia sottilissima e croccante tipica della Barbagia, anche nella sua forma a guttiau; la spianata tipica della zona di Ozieri, dalla forma rotonda e schiacciata.
Ciascuno di noi è libero di esprimere le sue preferenze ma per tutti vale il motto… a sa parti!