La delusione è normale. Capita spesso di tornare a casa dopo esser stati a lungo lontani. Per mesi la nostalgia ti ha attanagliato, pensavi di non farcela. Poi hai fatto un bel respiro e hai resistito sino al viaggio di ritorno. In treno, le aspettative e le suggestioni si sono accavallate, attendevi la festa del bentornato.
Poi qualcosa è andato storto: non c'erano bandierine né festoni, nessun invitato con la trombetta pronto a festeggiarti. Ti hanno dato una scopa e ti hanno detto "pulisci la tua camera".
Per un attimo forse hai pensato fosse meglio la B: calcio sul velluto e tracotante superiorità tecnica. Not this time: oggi si fa sul serio. E così il ritorno del Cagliari nel calcio che conta è stato rovinato dalle tre chiamate senza risposta Genoane. Tris d'assi e rossoblù k.o. senza appello. A dir la verità i sardi si erano anche portati in vantaggio col quinto squillo in due partite di Marco Borriello.
Il bomber sta viaggiando a medie spaventose, pur non essendo ancora decisivo. Poi solo Genoa. I liguri son venuti fuori di prepotenza, o se preferite son usciti dal campo i sardi, e pian piano si son mangiati il campo. Il Cagliari si è abbassato sempre di più, pensando prima a non prenderle più che a darle. E come sempre in questi casi, le ha prese.
Solitudine in attacco per Borriello, eccesso di affollamento là dietro. Siamo chiari: una sconfitta a Marassi è più che lecita per una squadra che comunque lotta per non retrocedere. Diverso è non provarci.
Il Cagliari deve saper osare: il prossimo weekend ospiterà la Roma e senza qualche azzardo si rischia l'imbarcata. Poi certo, se il tiro di Giannetti fosse entrato staremmo a parlare di tutt'altro risultato, ma probabilmente si sarebbe materializzato un piccolo "furtarello".
La sconfitta è meritata e giusta. Siamo solo all'inizio, non eravamo fenomeni dopo la Spal, non siamo brocchi ora. La partita col Genoa serva da monito e da doccia gelata per tornare coi piedi per terra.
Il Cagliari deve lottare. Le passeggiate in Serie A non ci appartengono. Anche perché chi fischietta camminando nel massimo campionato rischia di trovarsi a correre in B. I sardi hanno l'organico per vedere la lotta alla salvezza come un obiettivo da affrontare con serenità, almeno sulla carta. Poi ci sono i fatti, poi c'è il campo.
Là non esiste l'a priori.