Il Cagliari si tiene a galla. Che è ben diverso dal nuotare. Comunica di essere vivo, agita le braccia e l'attimo dopo ostenta serenità, ma in realtà non sa assolutamente per quanto ancora potrà resistere prima di affogare. Le idee messe in campo sono caotiche e ansiose, e le partite che vengono fuori sono un aggrapparsi in continuazione a qualcosa o qualcuno, e quando è qualcuno è quasi sempre la stessa persona.
I rossoblù non si sono trasformati e non sembrano in procinto di farlo, e i quattro pareggi consecutivi sono una comoda bugia per non dirsi dove si sta andando a parare. Anche ieri il Cagliari ha approcciato la gara in modo confuso: l'impressione che i sardi sembrano dare, sin dal fischio d'inizio, è quella classica delle squadre che restano in dieci uomini e cercano di riorganizzarsi strada facendo. Mentre ci si pensa si butta un pallone lungo e si spera, o si prega, che Joao o Keita lo stoppi o Nandez lo insegua.
Poi è vero che il risultato è arrivato, ed è anche vero che un gol in rovesciata sia il delirio collettivo: per chi lo fa, per chi lo vede e forse un pochettino anche per chi lo subisce. Ma è anche metafora calzante di quanto i rossoblù fatichino a creare palle gol nitide: per segnare devono ribaltare i rapporti tra Nord e Sud, invertire il globo, inerpicarsi e fare gol nel modo più improbabile possibile. I calciatori lo sanno, eccome lo sanno, e il nervosismo mostrato oggi sin dalle battute iniziali si avvicina molto di più al cane che tira fuori i denti per paura che a quello che lo fa da reale capobranco. In tutto questo contesto poco edificante, il panico generale ha tirato fuori la più grande scemenza mai partorita negli ultimi anni: Cragno colpevole del periodaccio del Cagliari. Sia chiaro, che non stia facendo la sua miglior stagione (e forse è la peggiore) è evidente, e lui stesso lo saprà. Ma è proprio il naturale e logico paragone con i campionati precedenti, che viene quasi spontaneo fare, che dà l'idea di cosa sia stato Alessio Cragno, e di quanto bene abbia abituato una tifoseria che – probabilmente – ha dimenticato quali portieri abbiano indossato la maglia rossoblù nel decennio precedente. Buttare in mezzo alla rissa l'uomo che ha tenuto a galla il Cagliari (rieccoci) negli ultimi tre-quattro campionati penso potessere essere solamente un'uscita a mo di boutade, ripetuta così tante volte da fare il giro e diventare una roba seria.
Ma ora non c'è tempo per le lapidazioni. Domenica si va a giocare in casa di una delle squadre più in forma d'Europa e, probabilmente, la più forte del campionato. E lì servirà almeno mezza bracciata.