Ai piedi del monte Uda, nell’iglesiente, troviamo Gonnesa, un paese di circa cinquemila abitanti, noto fin dai tempi nuragici come testimoniato dal Complesso di Seruci, importante sito archeologico noto per il bel nuraghe polilobato e che sovrasta l’intera area circostante.
Durante il medioevo veniva considerata, dai registri feudali, come un piccolo aggregato rurale appartenente al Giudicato di Cagliari, successivamente passò ai toscani Della Gherardesca, per poi passare al feudo dei Gessa; in questo periodo il centro andò spopolandosi tanto da essere considerato abbandonato.
In realtà, la popolazione scelse di vivere in diversi “furriadroxius”, cioè piccoli agglomerati rurali dove pochi nuclei familiari si raggruppavano dedicandosi all’agricoltura ed alla pastorizia.
Fu nel 1774 che, con la famiglia Asquer, si assiste alla rinascita dell’antico centro di Gonnesa grazie soprattutto alla concessione di terre e mezzi agricoli a 15 famiglie.
Ma è solo nella seconda metà del 19° secolo che, grazie alla fiorente attività mineraria, Gonnesa fu protagonista di una notevole crescita demografica, importante ma non duratura poiché la crisi delle attività minerarie ha determinato un lento e progressivo spopolamento.
Ed è proprio legata all’attività della Miniera di San Giovanni che dobbiamo la fondazione, sul costone del monte omonimo, di un piccolo centro abitativo dedicato ai dirigenti e impiegati della miniera: il villaggio Normann.
Nel 1867 venne data in concessione alla Gonnesa Mining Company Limited e ciò determinò un importante intervento antropico sul paesaggio: strade, costruzioni e impianti si fusero con l’ambiente circostante, modificandolo anche in modo importante nel corso degli anni.
Nella parte più alta, in posizione dominante ma abbastanza celata, troviamo il villaggio che ospitava appunto i dirigenti e gli impiegati della miniera con le rispettive famiglie.
Gli edifici, appartenenti anche ad epoche differenti e ben distinguibili nello stile, evidenziano l’evoluzione storica della miniera e dei suoi lavoratori, così come indicato anche dai macchinari, ora abbandonati e nascosti tra gli arbusti.
Tra i vari edifici, interessanti e certamente da non perdere sono la villa Stefani, la villa Pintus (probabilmente anche l’edificio di più recente abbandono), il rudere della chiesetta di San Giovanni e quello che all’epoca era lo spaccio aziendale.
La miniera rimase in attività fino agli anni ’80, quando fu determinato il definitivo abbandono; oggi il villaggio è semi abitato, poche case e altrettante famiglie ancora risiedono in quello che potremmo definire un sito di archeologia industriale, immersi nel verde e tra i ruderi di un recente passato fiorente ma destinato al declino.