Conti: "Il gol contro il Napoli mi ha cambiato la vita"

"Per il Cagliari dissi no alla Nazionale, e lo rifarei perché amo solo questa maglia"

La Redazione
12/12/2018
Interviste
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Una carriera a tinte rossoblù per Daniele Conti, una vita sportiva passata a difendere i colori del Cagliari e della Sardegna, che oggi è diventata la sua casa. Ben 16 anni di amore con le insegne isolane sempre addosso, dal 1999 (anno in cui arrivò dalla Roma di papà Bruno a poco più di 20 anni) al 2015, durante i quali Daniele è diventato prima tifoso e poi calciatore, prima esempio e poi compagno, prima uomo e poi capitano. 

A 3 anni dal suo ritiro, l'ex bandiera e simbolo rossoblù si è raccontato in una piacevole e emozionante intervista ai microfoni di Galleria Progetti. Ecco le sue parole:

“Sì quella volta al semaforo mi ricordo che mi fermo con la macchina, uno mi si avvicina e fa: “Bello stare in vacanza in Sardegna eh?” E io: No guarda, non sto in vacanza e te lo dimostrerò. E alla fine ho vinto io.

Era finito il girone d’andata e avevamo pochissimi punti, se non sbaglio 10, e arriva Cagliari-Napoli. Perdevamo 1-0, gol di Hamsik, e succede che fa gol Matri, l’1-1. Dopo 20 secondi punizione di Pasquale Foggia, arrivo io di testa e vinciamo la partita. Ancora ho in mente l’urlo dello stadio, quello è il gol che riguardo più volentieri. Io colpii la palla girato di schiena, non vedevo la porta. Quindi colpisco la palla, mi giro e vedo la palla in rete, inizio a correre senza capirci più nulla. Poi guardai le facce di Michele Fini, di Diego Lopez che voleva rubarmi il gol, però non c’è riuscito (ride n.d.r.), ricordo dei flash bellissimi. Dopo il gol la partita è finita, ricordo 30 persone sopra di me, un’emozione incredibile. Vincere quella partita mi ha cambiato un po’ la vita, anche perché inizialmente ho avuto delle difficoltà. Ho iniziato a far vedere qualcosa di buono tardi, a 23 24 anni, quindi diciamo che quella partita mi ha dato una carica incredibile per poi proseguire gli altri anni.

Sono ancora il figlio di Bruno. 20 anni che sto a Cagliari e ancora mi chiamano Bruno, e io rispondo: “Magari fossi Bruno, avrei vinto un mondiale e uno scudetto”. Ringraziando Dio ho avuto due genitori che mi hanno insegnato a stare al mondo, penso che sia importante. E non come calciatore, ma come uomo. Sono valori importanti che cercherò di trasmettere ai miei figli.

Quando giro con papà mi accorgo che la sua immagine è rimasta, nonostante abbia smesso tantissimi anni fa. Anche all’estero, è capitato di andare in vacanza e lo fermavano ogni dieci metri. Io penso sempre che la carriera del calciatore finisce ma l’uomo rimane, evidentemente lui è stato un grande uomo. Personalmente capivo che era dura avendo un padre così importante nella società. Arrivato a 19 anni gli dissi di voler andare via per poter dimostrare il mio valore da un’altra parte. Mi sentivo osservato negli allenamenti e nelle partite, quindi presi questa decisione. Grazie a Dio poi son venuto a Cagliari e sono qui da 20 anni.

Io non dovevo giocare quella partita, poi a Di Biagio nacque la figlia e il mister Zeman, che mi ha fatto cominciare a giocare e mi ha fatto smettere, mi disse “Oggi giochi”. Io ero molto emozionato, anche perché l’Olimpico è uno stadio pesante. Perdevamo 1 a 0 contro il Perugia, Totti fece l’1-1 e io il 2-1. Andai a esultare sotto la curva dove andava sempre papà solo che lui si inginocchiava e io invece rimasi in piedi. E’ stata veramente una grande emozione.

Mio fratello ha esordito qui a Cagliari, io venni convocato qui la prima volta e andai in tribuna, quella partita che il Cagliari vinse per 4-3 forse, con due gol di Fabian (O’Neill) e due di Muzzi. Quindi Cagliari nel destino, diciamo che più vivo qui e più mi sento fortunato. Ci sono persone di alto livello sotto l’aspetto umano e anche la mia famiglia si trova bene, quindi siamo felici della scelta fatta.

Non è stato facile perché il cognome è pesante. Quando stai in campo non guardano la partita, guardano il figlio di, quindi se sbagli qualcosa, sai: “Gioca perché è il figlio di”. Però penso che quando raggiungi dei livelli importanti secondo me la soddisfazione è doppia perché sono difficoltà che ti fanno crescere come uomo, e quello serve non solo per fare il calciatore ma nella vita in generale. Il primo periodo con mia moglie non potevamo nemmeno uscire di casa, ma quello fa parte un po’ del lavoro, perché non erano bei momenti anche per la squadra. Caratterialmente sono uno forte, ho avuto la fortuna di avere due genitori che mi sono stati vicini, mia moglie soprattutto che mi ha sempre tirato su. Poi alla fine le soddisfazioni sono arrivate.

Dopo una partita se fai gol e vinci ti arrivano 200 messaggi, se giochi male e perdi 1 o 2. Mia moglie in questo è stata incredibile, io poi caratterialmente sono uno particolare, quando perdevo una partita ci mettevo una settimana a metabolizzarla. Ho un carattere non bellissimo, mi ha sopportato per tanti anni, ho avuto la fortuna di crescere con mia moglie. Ci siamo messi insieme che io avevo 14 anni e lei 13, quindi siamo cresciuti assieme e mi ha sempre capito nei momenti di difficoltà. E’ capitato che dopo le espulsioni, perché ne ho prese un po’, tornassi a casa e lei cervava sempre un modo di tirarmi su.

Ogni allenatore mi ha lasciato qualcosa, chi più in positivo e chi più in negativo, ma se devo fare un nome ti dico che Allegri è quello che mi ha lasciato più di tutti. Sotto l’aspetto umano, tecnico, mi ha fatto crescere tanto come giocatore, e poi alla fine lo dimostra anche la sua carriera. Mi ha dato sicurezze, quando parlava era molto credibile, e questo il giocatore lo avverte. Mi ha dato tante sicurezze anche perché giocava nel mio stesso ruolo e questo mi ha aiutato nelle scelte calcistiche. La cosa che però mi piaceva di più era che riusciva a tenere il gruppo sempre compatto, noi il primo anno abbiamo fatto 5 sconfitte consecutive e non era semplice. Però lui il martedì entrava negli spogliatoi sorridente, scherzava rideva, e alla fine quell’anno abbiamo fatto 53 punti. Lo reputo veramente un fenomeno.

Con Bisoli ci sono stati dei problemi ma è un discorso lungo. Nacque tutto da un’amichevole estiva dove il primo tempo giocò una squadra e il secondo tempo qualche ragazzino. C’era Ragatzu, c’era Jeda, che già aveva 40 anni (ride n.d.r.), insomma dei giovani e non li trattò benissimo alla fine della partita. Tornati in ritiro chiesi spiegazioni al mister e lui disse: “Non si può giocare così”. Io risposi che i problemi ci potevano stare ma andavano risolti dentro lo spogliatoio, in mezzo al campo dove ci sono i giornalisti o altre persone non è una cosa bella. Poi ci fu un confronto il giorno dopo dove i ragazzi espressero le loro idee e il mister le proprie, e quindi nacque un pò lì lo scontro con Bisoli. E poi ci mise fuori rosa, perché io sbagliai in un allenamento. In pratica giocammo un’amichevole contro il Betis in cui mi feci una distorsione a una caviglia e il giorno dopo il mister mi chiamò negli spogliatoi e disse: “Daniele, giochiamo a Palermo, ci devi essere”. Io risposi che per il Cagliari avrei giocato anche con una gamba e lo ringraziai per le parole. La domenica poi non giocai perché schierò Nainggolan, che fece anche una grande partita davanti alla difesa. Giocai la seconda, con la Roma, e feci gol. Non lo vidi molto contento e sereno per quel gol, il giocatore avverte questi atteggiamenti da parte dell’allenatore. Successivamente durante un allenamento sbagliai, perché gli risposi non benissimo e da lì mi mise fuori rosa. E dopo che si scontrò con me lo fece anche con Agostini, ma non perché Alessandro gli disse qualcosa, perché prese di petto Agostini senza motivo. Magari era una strategia per farne fuori 2. Quindi ci mise fuori rosa, se non sbaglio non partimmo per Verona e poi rientrammo la domenica dopo. Per il bene del Cagliari alla fine uno passava sopra tutto, perché la maglia viene prima di tutto.

Per me Cellino è stato come un secondo padre perché io sono arrivato qui piccolissimo e mi ha dato tanto. Poi caratterialmente è un po’ particolare però ti fa diventare uomo. Nel suo lavoro è un genio, tante volte parlavo con lui e gli chiedevo come avrebbe fatto a fare certe cose. E magari dopo due anni si avverava esattamente quello che lui aveva detto. Ho un ricordo del presidente Cellino veramente bello, ogni tanto ci sentiamo e quello mi fa piacere perché il Presidente è uno che le persone le valuta molto bene. E lui valuta soprattutto l’uomo. Ci rimasi male quando mandò via Alessandro Agostini, perché si era creato un bel gruppo, ma non che comandava nello spogliatoio, che faceva capire anche ai nuovi quello che significava giocare per il Cagliari. E direi che abbiamo ottenuto grandi traguardi perché centrammo 11 salvezze consecutive, quindi l’obiettivo principale veniva sempre raggiunto. Quando mandò via Agostini come detto la presi male perché sapevo quanto Ago tenesse a questa maglia. Abbiamo sofferto insieme lì come abbiamo sofferto, nel bene e nel male, le altre annate.

Quello che si creò tra me, Pisano, Agostini, Lopez e Cossu era un incredibile legame. Vivevi il Cagliari in una maniera forte, alcune volte anche troppo, c’era troppo amore. Diego Lopez prese la fascia dopo Matteo Villa, con un breve intermezzo in cui la prese Suazo, però per noi il capitano rimase Diego. Un grande capitano, con grande carisma. E’ stato sempre una persona schietta, ci sono stati tanti momenti di difficoltà e lui ha sempre unito il gruppo per risolvere i problemi. Lo ricordo con grande affetto, è stato un grande compagno dentro e fuori dal campo. Pisano è una persona fantastica. Se non sbaglio si allenò con noi in prima squadra quando c’era Rigoni come allenatore. Vedevamo questo bambino che andava a 300 km orari e Rigoni si innamorò di lui, infatti Checco fece anche qualche partita quell’anno. Di lui posso dire che è stata una persona sempre umile, da quando ha iniziato ad adesso. Sono andato a vedere l’Olbia e lo vedi che è ancora un bambino. Gli voglio veramente bene perché ha vissuto tanti momenti di difficoltà e col lavoro ne è sempre venuto fuori. Ha fatto grandi cose nel Cagliari e sta continuando a farle. Andrea ha portato nel gruppo il fatto di essere tifoso, ci trasmise la voglia di andare in campo a sudare per la maglia come farebbe un tifoso. E’ un ragazzo molto timido ma ti trasmette tanto, l’amore per questa terra e per questa squadra lo trasmise a molti di noi. Penso sia stata una grande fortuna giocare con Andrea. Di Agostini diciamo che ci vivo ancora adesso tutti i giorni, perché mi sto occupando della primavera e lui fa il secondo di Mister Canzi. E’ un rapporto che ancora va avanti e penso che anche Ago abbia dimostrato quanto tiene a questa maglia e continua a farlo con i giovani.

Io mi ricordo un aneddoto su Davide Astori, per far capire la personalità del ragazzo. Noi siamo partiti per il ritiro estivo, dove il presidente Cellino ogni tanto se ne usciva con una delle sue. C’erano delle gerarchie, io ero il capitano e chi stava da più anni al Cagliari era vice capitano e così via. Il vice doveva essere Pisano e il presidente invece disse che sarebbe stato Davide Astori. Allora presi Davide e gli dissi la mia, ovvero che per rispetto era meglio che il vice lo facesse Pisano. Lui mi rispose: “No Daniele, mi sento pronto a fare il vice capitano”. Io in quel momento non ero molto d’accordo perché per me il discorso era diverso ma dico questo per far capire quanto Davide credesse in sé stesso. Arrivò a 19/20 anni e quando lo vedevi in allenamento eri sicuro che sarebbe diventato un giocatore perché aveva una personalità incredibile, anche se sbagliava riusciva a dimenticare l’errore in fretta.

Un gol che ricordo è quello che feci alla Roma all’Olimpico e poi mi tolsi la maglia e andai a mostrarla sotto la curva dei nostri tifosi. E’ un ricordo bello perché quando andavo a giocare a Roma mi massacravano prima di scendere in campo. Per me non fu una mancanza di rispetto, serviva per far capire ai romanisti chi mi ha dato tanto. Io sono arrivato qui a 19 anni, per me Roma è stata importante per la mia crescita visto che facevo parte di un settore giovanile importante e non rinnegherò mai il passato. Però Cagliari è quella che mi ha dato la consacrazione e ho trovato tante persone che mi hanno voluto bene e che mi vogliono ancora bene. Quindi non fu una mancanza di rispetto, feci vedere quanto io amassi veramente quella maglia.

Sinceramente vado poco a Roma, qualche volta con papà perché ho paura di prendere gli schiaffi (ride n.d.r.). No vado poco, ho tre bambini ed è difficile spostare tutti. Quindi vengono loro.

Secondo me ce ne sono 2/3 fra i più belli. Quello che feci a Roma su punizione, quello che feci a Udine e quello che feci contro la Roma in casa.

Quando indossavo quella maglia sentivo un qualcosa di forte. Tante volte ho incontrato persone che mi chiedevano della Nazionale, perché qualche anno buono l’ho fatto, e la mia risposta è sempre stata questa, perché ci credevo veramente. Una volta capitò, quando c’era Lippi, che Marroccu mi disse prima della partita che sarei stato chiamato in Nazionale ed io pensai subito: “Devo trovare qualcosa per non andare in Nazionale, dico che ho la febbre”, perché già mi stavo preoccupando. Il mio desiderio era allenarmi sempre col Cagliari e giocare col Cagliari, non ho mai pensato all’azzurro. Tornando indietro lo rifarei e oggi direi che la mia Nazionale è stata sempre il Cagliari.

Quell’anno ne ho lette e sentite tante, non solo sul mio conto ma anche su Pisano e Cossu che erano quelli della vecchia guardia. Mi faceva star male, anche perché tante cose non erano vere. Mi sono sempre preso la responsabilità nei momenti di difficoltà e la mia colpa è che quell’anno ho fatto fatica, vedevo tante cose diverse. Da capitano non sono riuscito a prendere la situazione in mano e non me lo perdonerò mai. La stagione poi terminò con la retrocessione quindi fu un’anno un po’ maledetto.

In quella fascia c’era tutto. C’erano i nomi dei miei figli e c’era scritto “Sconvolts” perché solo chi prova determinate cose può capirle. Io ne ho sentite tante quando sono arrivato, però non ho mai detto niente, non mi sono mai scontrato con un tifoso perché nella mia testa ronzava il pensiero di guadagnarmi quello che in quel momento non avevo. Quando il tifoso del Cagliari si è accorto che in campo mettevo impegno e cuore mi ha dato l’anima. E penso che nella vita bisogna dimostrare prima di avere, io ho cercato di fare quello e loro mim hanno dato tanto. Per me quella fascia rappresentava il tutto perché rappresentava i miei figli e la curva. La rimetterei altre 1000 volte.

Io iniziai al Cagliari con l’11, poi il 10 ma mi ruppi il ginocchio quindi lo cambiai subito. Poi presi l’8 ma non feci benissimo e alla fine rimasero il 5 e il 4. Chiamai mio figlio Bruno che era piccolo e gli chiesi quale numero avrei dovuto prendere. Rispose di prendere la 5.

Il 23 maggio è un giorno indimenticabile perché quando iniziai ad organizzare con la società la partita d’addio avevo dei dubbi. Pensavo di non riempire lo stadio ma mim dissero che invece ci sarei riuscito. Quindi organizzai questa partita e lo stadio si riempì. Ero molto emozionato perché in quella partita c’era tanta storia, c’erano tanti ex calciatori che avevano dato tanto per questa maglia e mancavano anche altri personaggi che per motivi lavorativi non potevano esserci. E’ stata un’emozione incredibile anche rivedere Herrera o Matte Villa che fu il mio primo capitano. Sinceramente ogni tanto lo devo rivedere perché quel giorno ho capito poco, col microfono prima della partita non riuscivo ad aprire bocca. Questo fa capire che i sardi, quando dai, ti danno l’anima e quel giorno me lo fecero capire per l’ennesima volta.

Anche mio padre nel 91 fece l’ultima sua partita il 23 maggio, anche questo fu un segno del destino. Tante cose strane da una parte, però...quello di papà ricordo che ero piccolino e c’erano 80.000 persone. Io correvo con lui in mezzo al campo per paura di perdermi.

2+3 fa 5, maggio è il mese numero 5, siamo 5 in famiglia, io mia moglie e 3 bambini. Ho fatto la bambina apposta per arrivare a 5 (ride n.d.r.). Il 5 è un numero che mi ha portato bene.

Sinceramente presi la maglia numero 11 per Muzzi, non sapevo ancora chi fosse Riva. Presi anche la casa di Muzzi quindi non lo feci per mancare di rispetto a Gigi. Ho cenato con Gigi Riva qualche giorno prima del mio addio al calcio. Quando lo vidi entrare rimasi mezz’ora senza parlare perché mi fece un effetto incredibile. Mi rimase nella testa, come se avessi visto un Dio. Anche il timbro della voce ti imbarazza, sono quei grandi personaggi. E come quando a Roma vedono papà o Totti, personaggi di grande carisma".

 

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